La Pmi che produce macchine per la serigrafia attiva anche un ramo negli Usa Fantozzi: «Tra Covid e incertezze dobbiamo diventare bravi ad essere flessibili»
REGGIO EMILIA Grazie a 55 anni di storia meccanica e ingegneristica sono in grado di far stampare senza sbavature una serigrafia su 300mila tappi di plastica l’ora che vanno a sigillare poi le bevande più bevute al mondo. Una sorta di record che proietta le macchine prodotte da una Pmi come la Moss di Reggio Emilia verso l’estero con una posizione di leadership. Nel futuro dell’azienda che produce e vende macchine offset e serigrafiche per la decorazione di oggetti e contenitori in plastica, c’è ora l’India, dove sbarcherà dopo aver dato in licenza la produzione di alcuni sui macchinari.
Andrea Fantozzi, conticolare della Moss srl di Reggio Emilia
Accordo fatto durante il periodo del Covid, quando l’azienda reggiana ha anche fatto shopping in Italia, dove ha acquistato il ramo di un’altra piccola azienda per allargare la base produttiva tramite linee esterne. «Tutto è nato nel 1967 proprio dall’invenzione di una macchina per la serigrafia con la quale decorare bottiglie. La ideò mio zio dopo aver creato da uno spin off aziendale quella che oggi è ancora l’impresa di famiglia» racconta Andrea Fantozzi, titolare della Moss insieme alla sorella Daniela, vice presidente di Unindustria con delega alla piccola impresa. Dimensione che descrive anche Moss, dove lavorano 35 dipendenti con un fatturato in decisa crescita nelle previsioni 2022, quando dovrebbe chiudere a 7 milioni di euro. Fantozzi, qual è stata la scintilla che ha fatto decollare l’azienda? «Mio zio ideò un meccanismo in grado di aumentare l’efficienza. Tutto questo negli anni Sessanta mentre c’era il boom della plastica. Le nostre macchine per la serigrafia riuscivano personalizzarla facendo aumentare la produttività delle aziende del settore». Per una Pmi come la vostra quanto conta l’export? «Siamo in una nicchia di mercato che in Italia conta appena quattro costruttori di queste macchine, di cui due a Reggio e due nel milanese. Poi ce ne sono all’estero. Però guardiamo al mondo visto che il 70% delle nostre macchine viene esportata. Inoltre i nostri sono beni strumentali con vita lunga, dove l’assistenza resta fondamentale. La facciamo anche su macchine con 40 anni di vita». Siete però legati alla plastica. La lotta all’inquinamento ha avuto effetto sul vostro orizzonte? «Alcuni mercati sono stati penalizzati. Basti pensare a chi produce bicchierini per bevande o contenitori per latticini, dove la plastica sta sparendo. Ma noi siamo stati solo sfiorati. La plastica resta comunque un prodotto del quale per ora non si può fare a meno. Inoltre le nostre macchine oltre alla plastica servono anche per decorare altre tipologie di materiali come l’alluminio o lo stagno con i quali vengono fatte le capsule per vino e liquori». Un segmento di mercato così piccolo non rischia di ridurre le potenzialità di crescita? «Stiamo giusto allargando il nostro raggio d’azione. Mentre a Reggio rimaniamo focalizzati nel nostro core business, abbiamo da poco comprato il 70% del ramo di una piccola e storica azienda milanese che ha solo 9 dipendenti e che costruisce macchine per l’alluminio, tubetti per l’aerosol e bombolette. Abbiamo fondato una newco che si chiama Martinenghi Tech, nella quale restano anche i soci originari». Il Covid quindi non sembra avervi rallentato. «In realtà patiamo anche noi i ritardi nelle consegne di prodotti e materiali. Ma abbiamo avuto tempo di portare a termine una strategia precisa. Comprando Martinenghi ci siamo assicurati un’eccellenza. Poi certo bisogna integrare due piccole realtà come le nostre. Prima di quell’acquisizione abbiamo costituito anche un ufficio commerciale negli Stati Uniti per avere anche un hub della ricambistica tra lì e il Sud America». Quanto è complesso per una piccola impresa sfidare investimenti per l’estero? «Abbiamo meno risorse, questo è chiaro. Ma la via c’è: abbiamo da poco sottoscritto questo accordo in licenza con un partner indiano per permetterà loro di costruire una nostra macchina che qui è ormai obsoleta mentre lì, dove hanno numeri spaventosi di crescita, può avere un nuovo sbocco. Altre opportunità ci arrivano anche dall’Africa». State subendo anche voi la scarsità di materie prime? «Si, per noi parliamo soprattutto di componentistica elettronica ed elettrica. I tempi di consegna verso di noi sono quadruplicati e noi consegniamo ora una macchina a 9 mesi contro i 4 di prima. Questo rischia di far saltare ad esempio in Italia l’aggancio dei contributi di Industria 4.0, che in questi anni hanno offerto una spinta fortissima al ricambio di macchinari».
Temete che il caro-energia possa deprimere la crescita in atto? «Noi dall’autunno del 2021 abbiamo visto un picco di ordini. Il 2022 sarà un ottimo anno ma il Covid così come altri rallentamenti in atto ci insegnano che dobbiamo essere bravi nell’essere flessibili, costruire macchine cercando di ridurre i tempi morti. Questo significa cambiare filosofia costruttiva e di montaggio. Una volta c’era una linearità che ora è sfasata, con effetti su costi ed efficienza». Insomma bisogna reinventarsi? «Anche noi nel nostro piccolo lo abbiamo dovuto fare già da tempo, abbandonando prassi in atto da decenni. Ciò è avvenuto con il nostro passaggio generazionale, quando abbiamo fatto dei corsi di lean production cercando di portare un nuovo tipo mentalità. Questo ha portato i suoi frutti perché per stare sul mercato devi lavorare sul costo della distinta base e sulla manodopera. Devi ottimizzare il processo produttivo con meno inciampi possibili, preservando qualità e servizio».
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